Quante volte hai sentito dire “i problemi lasciali fuori della porta?” Sì, fuori della porta di casa o dell’ufficio, a seconda del tipo di problema che devi gestire. Peccato che non ti venga detto: lasciali fuori, ma prenditene cura appena ripassi da quella porta. Altrimenti lui resta lì, cresce, s’incazza ancora di più e diventa grande. E da una piccola questione, magari risolvibile comunicando meglio in base a quelle regole che dovresti aver già appreso leggendo gli articoli precedenti, si trasforma in un bel gran casino.
Passa un giorno, ne passa un altro e un altro ancora e ti dici che il tempo farà la sua parte. Beh, certo, magari la fa. Ma la domanda è: in che modo? Senza accorgetene il problema si presenta in varie circostanze della tua vita e diventa un chiodo fisso. Per questo devi evitare le tre P del problema: evita che diventi personale, pervasivo, e persistente.
Vediamo meglio di che si tratta.
Personale. E’ facile comprendere che una questione che riguarda un ruolo qualsiasi della tua vita dovrebbe essere gestito in quello stesso contesto. Quindi, se hai un problema con tua moglie, con tuo marito, con il tuo partner e arrivi sul posto di lavoro, come minimo dovresti evitare di arrabbiarti e scattare con il primo che ti viene a tiro e che probabilmente in una situazione normale ti farebbe anche sorridere.
Ecco che il consiglio “i problemi, lasciali fuori della porta (dell’ufficio)” è un buon consiglio. Ma fino a un certo punto. Perché la parte occultata di quelle belle parole è: “e occupatene al più presto”, magari in una pausa o quanto meno appena esci dall’ufficio. A lasciarli lì, quei problemi, non si risolvono. A volte puoi avere la sensazione che siano passati perché la situazione si è normalizzata per una qualche alchimia. Tuttavia spesso accade il contrario, perché quel problema personale è come una goccia che inizia a riempire il bicchiere… di acqua sporca. Ricordalo.
Pervasivo. Il fatto di non avere gestito al meglio il problema può provocare un effetto simile a quello dei vasi comunicanti. Ciò che riguarda la sfera privata si mescola a quella professionale o viceversa, mettendo a rischio le tue performance sul lavoro o la tua stessa relazione con il partner, con gli amici, con i figli, etc…
Capisco che può sembrare ostico e quindi te lo spiego meglio con un’immagine. Pensa a una bottiglia con tre colli, cioè la tua vita. Si un bel bottiglione con tre fori attraverso ognuno dei quali l’acqua può entrare e uscire. Una bottiglia riempita di acqua pulita e trasparente, cioè lo stato ideale in cui ti trovi. All’improvviso, attraverso uno di quei colli, per esempio quello che rappresenta il tuo ruolo di professionista (impiegato, lavoratore autonomo, etc…) passa una goccia di inchiostro nero: un piccolo problema è entrato in una parte della tua vita.
L’acqua che prima era completamente trasparente adesso diventa un po’ velata. Nulla di grave, la situazione è ancora buona e vai avanti. Ma supponiamo che un’altra goccia di inchiostro passi attraverso lo stesso collo o uno diverso, poco importa. Ciò che conta è che il liquido inizia a diventare più “sporco”, e l’acqua (il tuo stato emotivo) diventa inquinata, soprattutto se non hai fatto nulla per pulire la “situazione” precedente.
Cosa succede? Quando si tratta di versare l’acqua su un bicchiere, cioè le normali attività che svolgi durante l’arco della giornata, che tu usi il primo collo – lavoro – , il secondo – famiglia – o il terzo – persona -, quel che passa ha lo stesso colore. Ecco che un problema presente in un ruolo ti mette in uno stato tale che te lo porti in altre situazioni: nervosismo, ansia, stress, ira…
Quel problema diventa parte di te e da personale diventa pervasivo, cioè pervade, si diffonde in modo penetrante e si diffonde.
Devo dirti che a questo punto sei già messo in una situazione pericolosa? Serve spiegarti che quello stato d’animo inquinato avrà ripercussioni nel tuo quotidiano? Ecco, appunto.
Permanente. Dopo essere diventato personale e pervasivo, il problema cambia forma: è un chiodo fisso. Più provi a non pensarci e più ci pensi. Eccolo, presente in ogni momento della tua giornata a influenzare in modo negativo le relazione interpersonali che intrattieni oltre che il tuo stesso umore.
Che fare? Pulizia.
Come? Premesso che avrai capito che è meglio affrontare il problema man mano che si presenta e non lasciarlo lievitare sotto il tappeto, se ha assunto la forma delle tre P ti conviene agire secondo questo schema.
1) Definire bene il problema, seguendo il suggerimento di Albert Einstein: “se avessi un’ora per salvare il mondo, per 55 minuti definirei bene il problema”.
Capito? Definire bene il problema. Dedicare tempo a capire. Vuoi sapere quali domande ti possono essere utili? Ok, te ne suggerisco alcune.
Qual è il vero problema? Con chi si verifica? Dove si presenta? Con che frequenza? Da quanto tempo?
2) Definire il piano d’azione: il fatto di definire il problema e circoscriverlo a un determinato ruolo e/o situazione ti permette di affrontarlo e trovare soluzioni più efficaci. E se a volte può sembrare difficile (apprezzo la volontà di dare il massimo per risolverlo) ti renderai conto che agire in modo tempestivo lo renderà più gestibile.
3) Azione. Usa il consiglio di Einstein e sfrutta quei cinque minuti per attivare le mosse necessarie. Evita di procrastinare e scriviti le cose da fare. Il cervello ama depennare e/o spuntare le attività dalla lista. Prova e credici!
Per quanto mi riguarda, trovo molto efficace iniziare partendo dalla fine. Come Luca? Sì, parto dall’idea che il problema sia già risolto (oppure l’obiettivo già raggiunto) e vado a ritroso ripercorrendo i passi che ho compiuto. Questo mi permette di restare focalizzato e trovare la migliore strategia ottimizzando le risorse disponibili. Inoltre, come ho appreso durante i miei molti viaggi in oriente, “è meglio accendere una candela piuttosto che maledire il buio”. Che tradotto in una lingua più pratica suona più o meno così: se ti trovi bloccato in una situazione negativa, inutile stare lì a imprecare. Fai qualcosa.
E ricorda: dai il tuo meglio.