Ti è mai capitato di rivolgerti a un bambino come fosse un ragazzo o viceversa? E di sentire qualcuno mentre faceva inutili paragoni tra il proprio figlio e quello degli altri per sottolineare i successi scolastici o le sue capacità linguistiche? Oppure, più semplicemente, ti sei mai detto “mi piacerebbe che mio figlio/a mi capisse di più”?
Immagino di sì, ed è una situazione comune a molti. Personalmente ho applicato le mie conoscenze nel campo della PNL e del coaching nel rapporto con mia figlia ottenendo grandissimi risultati. Ora condividerò con te parte di queste informazioni passando attraverso la conoscenza di alcuni punti chiave: intelligenza emotiva, sviluppo del linguaggio e autostima.
L’intelligenza emotiva è un concetto ancora nuovo nel nostro Paese. Se ne discute da quasi trent’anni, cioè da quando gli psicologi Peter Salovey e John D. Mayer l’hanno definito per la prima volta in questo modo: l’intelligenza emotiva (IE) è la capacità di relazionarsi agli altri, provare sentimenti ed empatia e soprattutto controllare le emozioni negative.
Daniel Goleman, esperto di IE, sostiene che riconoscere le proprie emozioni, saperle gestire e provare empatia sono le abilità che influenzano di più la vita dell’uomo e le sue probabilità di successo e di felicità.
L’intelligenza emotiva basa i suoi pilastri sui seguenti fondamenti:
- Consapevolezza di sé: sapere cosa stai provando e perché.
- Autoregolazione: avere i controllo delle tue emozioni.
- Motivazione: essere capace di persistere anche di fronte alle avversità.
- Empatia: essere in grado di individuare le emozioni nelle altre persone.
- Abilità sociali: andare d’accordo con gli altri, ascoltare, comprendere e apprezzare.
Per aiutarti a capire qual è il tuo livello attuale di intelligenza emotiva puoi rispondere alle seguenti domande:
- qual è il tuo grado di conoscenza delle tue diverse emozioni? In quale misura pensi sia possibile gestire le emozioni?
- come valuti la tua capacità di ricevere critiche personali? Qual è il tuo grado di flessibilità nell’adattarti al cambiamento?
- quali probabilità ci sono che tu ti prefigga degli obiettivi-sfida?
- quanto è facile per te vedere le cose dal punto di vista di un’altra persona? Quanto sei capace di ascoltare gli altri e accertarti se li hai capiti o meno?
- come valuti la tua capacità di rimanere rilassato in situazioni sociali che non conosci? Qual è il tuo rapporto con il silenzio?
Non esiste dialogo tra genitore e figlio che non sia sotto l’influenza delle emozioni. Ecco perché è così importante saperle gestire. Conoscere il modo in cui il linguaggio si sviluppa è fondamentale. Infatti permette al genitore di rispettarne ogni fase e di accompagnare il bambino nella sua crescita. A tal proposito cito una ricerca svolta dal sociologo e trainer di PNL Alessio Roberti che sono sicuro vi sarà utile.
Secondo Chomsky, filosofo e teorico della comunicazione, lo sviluppo del linguaggio si risolve in una capacità innata fin dalla nascita. La domanda che motiva il suo pensiero suona più o meno in questo modo: un bambino come potrebbe fare qualcosa di così eccezionale come imparare a parlare in breve tempo, se non fosse una predisposizione innata?
A questa teoria, detta appunto innatista, Chomsky aggiunge il concetto di Grammatica Universale che definisce come un sistema di principi e regole che sono elementi o proprietà universali di tutte le lingue.
Il pensiero di Piaget è invece molto diverso. Secondo lo psicologo e filosofo svizzero, il linguaggio non ha uno sviluppo autonomo ma fa parte dello sviluppo generale dell’intelligenza del bambino. Si può paragonare al disegnare o il giocare a fare finta, in quanto il linguaggio è per Piaget uno degli aspetti della nostra capacità di rappresentare.
Chi ha ragione? Una risposta corretta non esiste, almeno fino ad oggi. Gli studi più recenti suggeriscono di mettere insieme queste teorie e tenere in considerazione il ruolo svolto dal contesto (ambiente) e dagli adulti che accompagnano il bambino durante la sua crescita.
Ricorda: genitore, sei lo specchio parlante con cui il tuo bambino costruirà l’immagine che ha di sé. Usa bene le parole.
Vediamo ora insieme una tappa molto interessante dello sviluppo del linguaggio, quella che va dai 2 ai 7 anni.
In questo periodo, come sostiene Piaget, il bambino adotta un linguaggio di tipo egocentrico, nel quale ha un unico punto di vista (il suo!) e sembra incapace di considerare quello degli altri.
Evita di preoccuparti troppo. Infatti quando i bambini iniziano a passare molto tempo con i propri amici, a stare in gruppo e in classe, riescono a tener conto del punto di vista delle altre persone. E’ un processo naturale. Nel frattempo, osservali.
Oltre al linguaggio egocentrico, verso i 30 mesi fanno la comparsa le tipiche fasi del No e del Perché?
Con il “No” il bambino ci sta dicendo che vuole prendere le sue piccole decisioni e un semplice “No” può significare “non mi piace, sono arrabbiato, voglio scegliere i miei vestiti…”.
Con il “Perché?” vuole capire e sapere. E’ importante rispondere alle sue domande e ti consiglio di sfruttare questo momento per creare “apprendimento”: cerca con lui le risposte che non conosci su un libro o sul web. In questo modo gli trasmetti qualcosa di molto utile per il suo futuro.
Infine, sempre verso i due anni, si possono incontrare i tipici errori intelligenti (il guidante anziché dire volante, per esempio) e che sono considerati del tutto normali in uno sviluppo che si basa anche sugli errori.
Ricorda: Gioca e leggi con lui. Usa libri con un numero limitato di stimoli in modo da focalizzare l’attenzione e lo sviluppo della parte carente (immagine-simboli). Evita di far sentire il bambino inadeguato o frustrato: evita di costringerlo a ripetere le parole per ottenere qualcosa in cambio. Pronuncia la parola accompagnandola con un sorriso: il bambino riceverà più stimoli e lo farà sentire meglio, più amato e rispettato.
Ad ogni modo, se noti un rallentamento nella fase di sviluppo del linguaggio puoi attivare uno o più di questi accorgimenti:
- leggi ad alta voce
- usa giochi con un numero limitato di stimoli
- componi frasi dalla struttura complessa mediante l’uso di parole semplici
Infatti recenti studi della Stanford University hanno dimostrato che l’applicazione dei suddetti metodi favorisce e stimola il miglioramento delle capacità linguistiche del bambino. Se dovessi invece avere la sensazione che si può trattare di un problema, che non noti progressi, rivolgiti al tuo pediatra e ti saprà consigliare la strada migliore per aiutarlo.
- Adesso rispondi a questa domanda: cos’è l’autostima?
- L’autostima è la fiducia che abbiamo in noi stessi e nelle nostre potenzialità. Essa è legata in modo molto stretto proprio a quell’immagine che abbiamo creato nella nostra testa.
Interrogarti sul tuo modo di comunicare con tuo figlio/a. Riesci a gestire il tuo stato emotivo o pensi di dover lavorare sul tuo livello di intelligenza emotiva? Le parole che gli rivolgi hanno un immenso potere: sono in grado di alzare un muro o costruire un ponte di comunicazione che ti lega alle persone che ami. Inoltre le parole creeranno, in positivo o negativo, l’autostima del tuo bambino e la fiducia in se stesso.
- Per questo è opportuno evitare quelle frasi che mettono a rischio l’autostima dei nostri figli.
- Eccoti alcuni esempi, tra i più frequenti che ho riscontrato nella mia esperienza di coach e formatore e confermati dalle più affermate fonti nel campo della comunicazione.
- Non te la prendere per una sciocchezza! Sei davvero sicuro che per lui sia una cosa di poco conto? Magari per lui, in quel momento, rappresenta la cosa più importante del mondo. Fa attenzione: si sentirà inadeguato e potrebbe allontanarsi da te.
- I maschi e le femmine brave non si comportano così! Evita di usare etichette o si sentirà inadatto, sbagliato e fuori luogo. Cosa puoi fare? Aiutarlo a conoscere se stesso.
- Non sei capace, lascia stare, faccio io! Questa è una frase davvero pericolosa e se pronunciata con frequenza potrebbe avere effetti negativi perfino su un adulto. L’importante non è fare le cose perfettamente, ma dare fiducia alle capacità di tuo figlio.
- Sei così… bravo, buono, testardo, pigro, etc… Tieni a mente che queste frasi agiscono sul livello di identità anziché sul suo comportamento. Quindi contestualizza sempre le tue affermazioni: il bambino infatti tende a pensare “se la mamma (se il papà) dice che sono così, allora lo sono veramente”.
Ora che sei un esperto delle cose che NON devi fare, parti con un nuovo inizio.
Quale? Inizia usando frasi positive ed elimina qualche NON dal tuo vocabolario quotidiano.
Come fare? Ad esempio “Non stare così vicino alla televisione” si trasforma in “vieni, siediti qui sul divano, vicino a me”. Oppure “Non uscire senza scarpe” diventa “Mettiti le scarpe se vuoi uscire”.
Funziona vero? Ha cambiato la vita di molti, e sono convinto che cambierà anche la tua. Vedrai crescere il tuo linguaggio insieme a quello di tuo figlio, e sarà un viaggio meraviglioso.
Attenzione però! Se credi che questo cancelli mesi o anni di comunicazione poco efficace e cattive abitudini sei fuori strada. Sarà comunque un percorso stimolante che vedrà i risultati nel tempo. Inizia subito, ne vale la pena.
Infine, per i teorici della linguistica, uno tra i migliori strumenti per sviluppare una comunicazione consapevole, capace altresì di favorire la costruzione dell’autostima è la sincerità.
Sì, tira fuori il coraggio di mostrarti a 360°, con i pregi e con i difetti; abbandona il timore di far vedere che anche tu (come me) hai dei limiti. Sei un essere umano e voler apparire come un genitore infallibile è ridicolo, oltre al fatto che trasmettere un modello molto distante dalla realtà risulta estremamente dannoso. Devi essere affidabile e sincero con i tuoi figli, non perfetto. E ciò vuol dire aiutarli a prendere consapevolezza dei loro limiti, insegnare ad accettare una sconfitta e dimostrare che si può essere a proprio agio anche quando si è vulnerabili
Diventa un modello per tuo figlio. Un modello raggiungibile e di cui essere orgoglioso.
Dai il tuo meglio.
Ricorda: Ama tuo figlio semplicemente per ciò che è. Lascia stare i successi e risultati che otterrà. Amalo perché unico anche se diverso da te.